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Siamo Teatro
De MeRode, un posto che non dovrebbe esistere, ma menomale che c’è!
Menomale
perché nelle sale teatrali che abbiamo costruito trovano spazio e possibilità
di esprimersi molte compagnie che vivono i problemi principali di chiunque
voglia avvicinarsi al teatro in questa città: la mancanza assoluta di spazi
accessibili per lavorare senza pagare costosissimi affitti (il teatro va
praticato quasi ogni giorno), l’impossibilità di mettere in scena il proprio
spettacolo all’interno di un qualsivoglia teatro, l’inesistenza di una
formazione pubblica e accessibile per il mestiere del teatrante.
Menomale
perché, attraverso la pratica dell’autorganizzazione, le compagnie e i singoli
che animano e attraversano il percorso di TeatroDeMerode stanno costruendo
tutto questo, a piccoli passi.
Molti e
molte si sono ripresi il tempo che gli era dovuto, il tempo di provare, mettere
in scena, affinare come artigiani il proprio lavoro. Altri hanno invitato
maestri ad offrire una formazione di qualità a prezzi popolari, altri ancora
hanno semplicemente condiviso ed aperto il proprio lavoro ad altre compagnie,
arricchendosi a vicenda e portando avanti ricerca e sperimentazione. E tutto
questo è stato aperto al quartiere ed alla città attraverso iniziative e serate
in cui il protagonista assoluto è stato il teatro.
Ma allora
perché non dovrebbe esistere?
Non dovrebbe
esistere perché tutto questo dovrebbe essere garantito da chi, come
fastidiosamente ha affermato l’assessore alla cultura di questa città, “governa
la cultura”.
Siamo
convinti che la cultura non si possa governare, al massimo servire.
E’
necessario che si fermi immediatamente il processo per cui la cultura viene
pensata, sempre più, come una merce e non come un bene comune garantito ed
accessibile e tutti e tutte.
Nell’esperienza
di questi anni abbiamo avuto modo di verificare che anche chi, per una
misteriosa congiunzione astrale, riesce a lavorare o ad andare in scena
all’interno del cosiddetto “circuito ufficiale” (circuito assolutamente chiuso
in se stesso e respingente rispetto a chiunque si affacci sulla scena con
proposte nuove) gira gira si ritrova a provare ed a creare i propri spettacoli
all’interno delle sale di TeatroDeMeRode (che sono, ovviamente, gratuite).
Questo perché si pensa (o si vuole pensare) il teatro solo come “il momento
dello spettacolo” (un’ora, un’ora e mezza di rappresentazione), senza
considerare che la messa in scena è il frutto di anni di lavoro, formazione,
esperienze. Se in Italia esistesse la possibilità, per un teatrante, di
formarsi all’interno di strutture pubbliche, magari (magari!!!) gratuite o con
delle agevolazioni (cosa che misteriosamente ed inspiegabilmente avviene in
tutti i paesi europei), o se i teatri del circuito ufficiale (ad esempio
l’associazione Teatro Di Roma (Teatro India, Teatro Argentina), che nella sua
linea progettuale 2009 si sbrodola addosso parlando di “democratizzazione della
cultura”, di “avvicinare il maggior numero di persone alle grandi opere della
letteratura del teatro o del cinema d’autore” di “centralità dei territori” di
come “il teatro pubblico deve porsi in una funzione di ascolto, ma anche essere
propositivo, perseguire con generosità e determinazione il precario equilibrio
tra valorizzazione delle risorse locali e apertura e confronto con la realtà
nazionale e internazionale” di “nuove pratiche teatrali” eccetera eccetera) se,
appunto, questi teatri facessero una cosa banale come aprire durante il giorno
le loro sale per contribuire all’esiguo numero di sale prove esistenti in
città, forse non ci troveremmo nel paradosso che vuole una compagnia in scena
al teatro India creare e preparare il proprio spettacolo all’interno di uno
spazio occupato, oppure un aspirante attore dover lavorare al call-center per
pagarsi la scuola di teatro.
In un
panorama in cui, chi vuole fare del teatro (ma in realtà di qualsiasi arte) il
proprio mestiere si trova più che a vivere ad annaspare cercando di
sopravvivere (con l’assoluta impossibilità di occuparsi serenamente della
propria vita, di fare progetti a lungo termine o di mettere, ad esempio, al
mondo un figlio), riteniamo oggi più che mai necessario iniziare a ripensare
l’arte e la cultura come beni comuni da restituire alle persone, da incentivare
e sostenere attraverso progetti e misure serie che scommettano sui lavoratori
delle arti in maniera completa.
In questo
senso viviamo il Volturno come uno spazio assolutamente coerente con la nostra
lotta. Uno spazio liberato in cui esiste, come è esistita per noi del Teatro De
MeRode, una possibilità REALE di esprimersi, creare, vivere una socialità
differente da quella impostaci. Uno spazio dove arte e cultura sono accessibili
a tutti e tutte, dove è possibile l’incontro tra “pubblico” e “artista” (visto
che solitamente sembra che non abbiano niente da dirsi) perché l’arte non viene
fruita e consumata come una merce ma come, appunto, un bene comune.